Doveva essere il nostro momento by Eleonora C. Caruso

Doveva essere il nostro momento by Eleonora C. Caruso

autore:Eleonora C. Caruso [Caruso, Eleonora C.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2023-05-18T12:00:00+00:00


«Sai andare in motorino?»

Leo si tolse il fumetto aperto dalla faccia, si era addormentato sull’erba leggendo Lamù, stanco dopo la mattinata trascorsa sul tetto della villa padronale per cercare di rattopparlo alla bell’e meglio. Era l’inizio di dicembre, ma era ancora piacevole stare fuori con una felpa a portata di mano. In piedi sopra di lui, Zan gli copriva il sole.

Rispose con un verso interrogativo, stropicciandosi gli occhi.

«Il motorino, lo sai guidare?»

«Vengo da un paese di tremila anime, vedi tu. Per levarmi dai coglioni avrei imparato a guidare anche il calesse.»

«Allora vieni. Andiamo in un posto.»

Presero il Ciao rosa parcheggiato sotto la tettoia sulla stradina dove c’era anche la macchina di Leo, sporca di fango e di polvere. Il motorino era impigrito e i pedali più duri di quanto sembrasse. Per avviarlo Leo dovette lanciarsi giù dalla discesa, e solo a quel punto il motore iniziò a scoppiettare.

Accovacciato sul sellino sfondato, Zan seduto sul portapacchi che lo guidava urlando (l’unica volta, probabilmente, in cui lo sentì urlare), attraversarono la campagna ancora verdeggiante, sobbalzando sui sassi dei sentieri sterrati e pedalando per inerpicarsi sulle salite brulle, un’operazione molto più faticosa sia del tetto, sia di un’ora di palestra.

Quando Zan gli disse di fermarsi, Leo era talmente sudato che si tolse felpa e maglietta e le usò per asciugarsi, restando a torso nudo nell’aria fresca autunnale.

«Bello… il Ciao…» commentò riprendendo fiato, «… talmente bello che verrebbe… da farlo volare giù… da una scarpata… come l’angelo che è.»

«Lo so, per quello l’ho fatto portare a te.»

«Appena mi riprendo… ti ammazzo… dammi due o tre giorni…»

Presero a piedi una discesa ripida tra gli alberi e la vegetazione palustre, le rocce su cui poggiavano le mani per non scivolare erano tiepide di sole, i sassi che scricchiolavano sotto i piedi si staccavano e rotolavano a valle, sparendo tra i cespugli.

Arrivarono alle sponde di un vasto lago immobile, che rifletteva come uno specchio le nuvole bianche ammassate sul margine interno del cielo. Le sponde erano coperte di lisca lacustre incolta, e poco lontano da lì, che scoppiavano di salute su una striscia di terra arida, c’erano cactus fioriti.

«Ho pensato che da piemontese preferissi il lago al mare.»

«È vero» confermò Leo. Andò sulla riva, dove immerse nell’acqua fredda un pezzo della maglietta, e se la passò sulla pelle sudata. Con un altro lembo si asciugò e indossò nuovamente la felpa, direttamente sul torso nudo.

«Ho visto una canzone degli Articolo 31.»

Zan si stava toccando la parte interna del bicipite, un punto in cui Leo aveva due tatuaggi. Il primo una frase, l’unica che avesse mai fatto perché l’effetto, aveva scoperto, gli faceva cagare – la pelle si era bevuta l’inchiostro, come fosse stato scritto sulla carta igienica con una penna stilografica –, il secondo la parte finale delle fiamme in cui era avvolto Ifrit – non la creatura soprannaturale della cultura araba, bensì l’invocazione di Final Fantasy VIII. Lo aveva fatto salire fin lì apposta per inglobare la scritta e renderla appena visibile.

«Ammazza che occhio. Sì, ci ho



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